Descrizione dell’opera:
La ‘’Sacra Conversazione’’ del Mantegna presenta centralmente la Vergine che, seduta, tiene in braccio il bambino in atto benedicente mentre, racchiusa da una mandorla di colore rosso aranciato, è attorniata da angeli cherubini. La Vergine viene presentata in modo perfettamente frontale, l’espressione è greve e lo sguardo, penetrante, è rivolto allo spettatore. Indossa una veste di colore aranciato che si sposa perfettamente con il colore di sfondo della mandorla che la delimita, mentre sulle spalle le ricade un mantello di colore scuro, la mano sinistra è prolungata verso il bambino e, tra le dita, tiene un fiore di colore bianco. Il bambino, seduto, rivolge uno sguardo ricco di pathos allo spettatore, al collo porta un ciondolo di corallo che ha un valore simbolico, rimanda infatti al rosso del sangue, simbolo di vita e di morte, ma anche alla funzione salvifica legata alla resurrezione di Cristo lo stesso ciondolo è visibile nella Sacra Conversazione realizzata in precedenza, (nel 1472), da Piero della Francesca, oggi conservata presso la Pinacoteca di Brera. I due personaggi principali non risultano gli unici della rappresentazione, a circondarli infatti sono altri quattro personaggi la cui identità è ancora incerta. Questi sono posti in coppie, due a destra e due a sinistra e (partendo da sinistra) sono verosimilmente San Giovanni Battista, San Gregorio Magno, San Benedetto da Norcia e San Girolamo. L’identità di ognuno di questi è suggerita da alcuni caratteri propri della loro iconografia, notiamo come san Giovanni Battista, con il lungo saio da eremita, sia raffigurato nell’atto di indicare il bambino, mentre regge con l’altra mano il bastone che presenta la croce all’estremità. San Gregorio magno è il santo che lo succede, riconoscibile perché vestito degli abiti papali. San Benedetto da Norcia presenta un abito olivetano e impugna un pastorale, lo sguardo è serio, ma non è diretto allo spettatore. È all’estrema sinistra invece che san Gerolamo in un abito dal colore rosso acceso, rivolge uno sguardo austero allo spettatore. Nella mano destra il santo regge un libro che simboleggia la Vulgata mentre nella mano sinistra tiene con fierezza il modellino della chiesa. Ancora più caratteristici risultano essere tuttavia i tre personaggi collocati nella parte centrale inferiore della rappresentazione, si tratta di tre cantori, dei quali si contraddistingue in particolar modo quello sulla destra, a mezzo busto, che regge un foglio dove è riconoscibile la firma dell’artista: “A. Mantinea pi. an. gracie 1497 15 augusti” (figura 1). Molto curati i particolari, anche di sfondo, dove giganteggiano due arbusti di un colore verde intenso, colmi di frutti, uno alla sinistra e uno alla destra della Maestà.
Caratteristiche dell’artista:
La mano del Mantegna è senz’altro riconoscibile per la linea molto decisa, propria degli artisti fiorentini, notabile dall’osservazione delle espressioni dei volti di ciascun personaggio. Caratteristici del Mantegna sono anche i frutti raffigurati sullo sfondo, che sembrano essere una rivisitazione dei classici festoni di fiori e frutta presenti per esempio nella pala di San Zeno e appresi dall’artista presso la bottega del maestro, Francesco Squarcione. L‘artista però si fa indubbiamente riconoscere per la statuarietà che riesce a conferire ai suoi personaggi, grazie all’espediente prospettico dello scorcio che prevede la presenza di un punto di vista ribassato e che viene utilizzato anche nel più grande capolavoro artistico del Mantegna, ‘il Cristo Morto’. In quest’opera tuttavia, il Mantegna sceglie di utilizzare lo scorcio, dunque un punto di vista ribassato, solo per la raffigurazione dei Santi e dei tre cantori, una veduta frontale viene riservata alla vergine e al bambino, con la quale l’artista fissa in modo unico questi due personaggi.
Caratteristiche del periodo:
L’opera appartiene all’arte rinascimentale, come notabile per la presenza di una prospettiva scientifica che determina una luce razionale, in questo caso proveniente da destra, che fa si che ci siano di ombre proprie e portate. A differenza delle opere trecentesche vediamo una visibile attenzione per i particolari, una ricerca di realismo, un distaccamento dagli sfondi dorati e i rimandi simbolici per una ricerca di concretezza, data anche da una contestualizzazione della scena, in questo caso con degli attributi naturalistici. L’arte rinascimentale arriva a un punto di arrivo con queste aureole che, non più dorate e piatte, tendono progressivamente a divenire meno evidenti sino a quando non ne rimarranno, con Leonardo, dei fili dorati. In questa rappresentazione somigliano più a dei dischi luminosi, poco riconoscibili sono le aureole della Vergine e del bambino che si confondono con l’aranciato di sfondo.
Studio compositivo:
Per quanto riguarda lo studio compositivo, una caratteristica di quest’opera è dettata dal fatto che si sviluppa seguendo degli ovali concentrici, iniziati proprio con il viso della Vergine da una forma ovale molto marcata che continua con la mandorla attorniata dagli angeli e che imprime ordine all’intera rappresentazione. (figura 2) inoltre il posizionamento degli arbusti laterali contribuisce a creare un accenno a una triangolazione.
Figura 2 – studio compositivo
Confronto tra la Pala Trivulzio di Mantegna e la Pala Montefeltro di Piero della Francesca.
Affinità:
Entrambe le opere, realizzate nel 1400, appartengono all’arte Rinascimentale. Piero della Francesca per la realizzazione della sua opera adotta la tecnica dell’olio etempera su tavola, il Mantegna invece preferisce utilizzare la tela, scelta condizionata dal periodo di realizzazione dell’opera, infatti il Mantegna realizza la Maestà nel 1497 e, negli ultimi anni del Quattrocento, iniziano a venire realizzate moltissime opere d’arte su tela, in questo caso, quella del Mantegna, è una tempera su tela. Entrambe le opere raffigurano lo stesso soggetto, una Maestà circondata da angeli e santi. Nello specifico in entrambe le opere sono presenti San Giovanni Battista e san Gerolamo. Nonostante la differente posizione assunta dal bambino in grembo alla vergine, su entrambe le raffigurazioni compare il caratteristico e simbolico ciondolo di corallo legato al collo del bambino. In entrambe le raffigurazioni gli artisti ricercano un’attenta rappresentazione dei particolari che viene però sviluppata in modo differente, Piero della Francesca introduce all’interno della sua raffigurazione elementi architettonici mediante i quali riesce a esprimerla al meglio, il Mantegna sceglie di concentrarsi invece solo sulla fisionomia e gli attributi di ciascun personaggio. Entrambe le opere incarnano gli ideali artistici rinascimentali, con una ricerca di realismo e una profonda attenzione per le regole prospettiche, anche se queste vengono applicate maggiormente nell’opera di Piero della Francesca che si ricorda come l’artista che, più di tutti, le rispetta fedelmente nelle raffigurazioni pittoriche di architetture. Notiamo inoltre la presenza di una luce razionale in entrambe le rappresentazioni artistiche e un’introduzione di elementi simbolici, in particolare Piero della Francesca non si limita al ciondolo di corallo introducendo anche l’uovo di struzzo, simbolo di rinascita e di fecondità
Differenze:
Nonostante la comune appartenenza all’arte rinascimentale, questi due capolavori artistici presentano numerose differenze, oltre alle più basilari, quali l’attuale ubicazione (pinacoteca di Brera quella di Piero della Francesca e Pinacoteca del Castello Sforzesco quella del Mantegna) e la tecnica di realizzazione ve ne sono anche di più sostanziali. Innanzittutto va notato che le due scene presentano un’ambientazione completamente diversa, la Maestà del Mantegna è contestualizzata da un paesaggio naturalistico, proprio dello stile dell’artista appreso nella bottega dello Squarcione. Al contrario Piero della Francesca predilige un interno, come ambientazione della sua Maestà, nello specifico un’architettura tipicamente classica, propria del periodo Rinascimentale. Dell’edificio classicheggiante sono visibili il presbiterio, il coro, l’abside, gli archi introduttivi ai bracci del transetto e l’accenno all’arco che introduce al corpo longitudinale, il tutto minuziosamente definito dall’artista. Le due opere mostrano entrambe una grande maturità rappresentativa, non si tratta più delle Maestà di Cimabue e di Duccio che prevedevano la unica presenza della Vergine sedente in trono con il bambino e attorniata da angeli, ma oltre a presentare i Santi a circondare la vergine, in queste due Maestà compaiono personaggi assolutamente mai visti prima: in quella di Piero notiamo la presenza del committente dell’opera, Federico da Montefeltro che, inginocchiato nella parte destra dell’opera, con le mani giunte in preghiera, indossa un’armatura che rende eterno questo capolavoro artistico per l’attenzione e la cura del dettaglio che Piero le riserva: infatti è possibile notare sull’armatura il riflesso del manto della vergine e quello della fonte luminosa proveniente da sinistra. Se Piero introduce in questa maestà il committente dell’opera, Andrea Mantegna sceglie invece di raffigurare centralmente nella parte inferiore della tela, tre cantori con i quali l’artista esplicita la sua attenzione per i particolari, quello a destra infatti regge un foglio dove è riconoscibile la sua firma (figura Differente nell’opera è la posizione del bambino che, se nell’opera del Mantegna si trova seduto e in atto benedicente, risulta invece coricato dormiente in grembo alla Vergine nell’opera di Piero. La stessa Vergine è collocata in modo diverso nelle due opere: seduta su un trono di stile classico adornato di un tappeto di stile orientale è la Vergine raffigurata da Piero della Francesca, mentre collocata all’interno di una mandorla di colore rosso aranciato è la Vergine del Mantegna, inoltre la Vergine della Pala Montefeltro presenta le mani giunte in preghiera mentre rivolge un intenso sguardo al bambino, al contrario di quella della Pala Trivulzio, che guarda con serietà lo spettatore mentre cinge con un braccio il bambino che le sta seduto in grembo. Molto diversa nelle due opere risulta essere la raffigurazione degli angeli, solo quattro nell’opera di Piero, raffigurati stanti e sottolineate dalle specchiature di sfondo. Molto più numerosi gli angeli della Maestà del Mantegna, angeli cherubini che, raffigurati perlopiù in terzetti, contribuiscono a delimitare il perimetro della mandorla.