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Dati tecnici:

La pala di san Zaccaria è una tavola di sviluppo verticale, realizzata nel 1505 da Giovanni Bellini, con la tecnica dell’olio su tavola, oggi viene conservata a Venezia, presso la chiesa di San Zaccaria. La rappresentazione artistica rientra nell’arte Rinascimentale e, nello specifico, fa parte del rinascimento veneto.

Descrizione dell’opera:

La sacra conversazione è ambientata entro un loggiato quadrato, con una caratteristica pavimentazione a scacchiera, che termina in un catino absidale semicircolare, decorato con un mosaico dorato sul quale vengono raffigurate, con un colore verde intenso, delle decorazioni vegetali. Il loggiato si compone di un’unica campata sovrastata da una volta a crociera, la quale viene sorretta da archi a tutto sesto decorati internamente con dei rosoni di tipico stile classico. Gli archi a tutto sesto sono sorretti da segmenti di trabeazione a loro volta sostenuti da pilastri aventi un capitello di ordine composito. I due pilastri delimitano lo spazio della scena che si svolge in un ambiente chiuso, riuscendo a rendere più raccolta e intima la sacra rappresentazione. Tuttavia al di là dei pilastri, si nota come il Bellini introduca degli elementi finalizzati a contestualizzare il paesaggio naturalistico.  Nonostante lo spazio limitato che questo occupa nella rappresentazione, l’artista colloca all’estremità di destra e di sinistra un arbusto che lo contestualizza, lasciando intravedere un terso cielo azzurro, attraversato da qualche soffice nuvola bianca.

Per quanto riguarda la scena principale essa raffigura una maestà, la Vergine sedente in trono con in braccio il bambino è circondata da quattro santi disposti a semicerchio: Pietro apostolo, Caterina d’Alessandria, Lucia e Girolamo. Ai piedi del trono su cui siede Maria poggia un angelo musicante che con grande naturalezza è raffigurato nell’atto di suonare la viola portando lo spettatore a concentrarsi sulla scena principale. Proprio sulla base del trono, dove l’angelo poggia la schiena è possibile individuare il cartiglio con cui l’artista firma questo suo capolavoro.

Caratteristiche del periodo:

L’opera appartiene all’espressione artistica rinascimentale, lo si capisce innanzitutto per la presenza di una prospettiva scientifica, notabile dall’osservazione delle linee architettoniche e soprattutto dalla pavimentazione a scacchiera che, tipica di questo periodo artistico, dona moltissima profondità alla scena. Finalizzata a donare profondità alla rappresentazione è anche la disposizione semicircolare degli angeli. Di gusto rinascimentale sono  i rimandi all’arte classica greco-romana, per esempio i rosoni che decorano inferiormente gli archi a tutto sesto, cosi come i motivi decorativi realizzati sul fusto dei pilastri. La scelta di introdurre nella scena delle aperture laterali dona molta luminosità creando giochi di luci e ombre e variazioni cromatiche nelle vesti dei personaggi. 

Caratteristiche dell’artista:

Il Bellini si fa riconoscere per la scelta di introdurre anche in quest’opera una componente naturalistica, protagonista assoluta della maggior parte delle sue opere. Inoltre è possibile notare un condizionamento da parte di altri celebri artisti rinascimentali, si noti la presenza di rimandi simbolici comparsi in due opere antecedenti a questa Maestà: l’uovo di struzzo simbolo di purezza compare nella Pala di Brera realizzata da Piero della Francesca nel 1472 (figura 1), mentre ripresa dalla pala centrale della pala di San Zeno realizzata nel 1456-1459 da Andrea Mantegna è la lucerna appesa poco sotto di esso cosi come lo stesso uovo di struzzo rimando simbolico presente anche in questa rappresentazione (figura 2).

Figura 1: dettaglio dell’uovo di struzzo Pala Brera,
Figura 2: dettaglio festone Pala di San Zeno

L’elemento più tipico del pittore veneto tuttavia risulta essere l’utilizzo di una pittura tonale, carattere tipico del rinascimento veneto. La presenza delle due aperture laterali determina una luminosità unica nella scena centrale, a quale si percepisce dall’osservazione dei colori che presentano delle macchie sulle vesti dei santi. Curiosa è anche la sfumatura che si presenta sulla barba dei due santi posti lateralmente in corrispondenza dei pilastri. La linea ha un tratto delicato, sinuoso che accoglie il colore senza invaderlo troppo, come farebbe invece un tratto marcato, più tipicamente fiorentino. La dolcezza della natura, l’elemento più tipico dell’artista può essere notato dall’osservazione delle montagne osservabili in lontananza nella parte destra della rappresentazione. Infine tipico dell’artista è introdurre il cartiglio con cui firma la rappresentazione, già visto per esempio nell’opera “san Francesco nel deserto” compare anche in questa, vicino alla figura dell’angelo ai i piedi del trono.

Studio compositivo:

Relativamente allo studio compositivo possiamo notare innanzitutto che la figura della vergine, come nelle più antiche rappresentazioni gotiche funge da asse di simmetria, in questo caso marcato anche dalla presenza dell’uovo di struzzo e della figura dell’angelo.
Altra caratteristica importante dell’opera relativa allo studio compositivo va colta con l’osservazione della raffigurazione dello spazio esterno alle due estremità dell’opera. Infatti l’artista permette allo spettatore di inquadrare, dal lato di sinistra la parte inferiore del paesaggio, dove è possibile notare il verde del terreno sul quale sono presenti alcuni ciottoli e, in secondo piano, un arbusto che ricorda un pino, all’altezza della mano del santo. È in primo piano invece che un arbusto dal tronco piuttosto spesso impedisce la visione della parte superiore del paesaggio, di cui è possibile notare solo il terso cielo azzurro, percorso da soffici nuvole bianche (figura 3). Si invertono i ruoli nell’estremità di destra dove un arbusto dal tronco sottilissimo permette la visualizzazione della parte superiore del paesaggio percorso da alcune montagne dalle linee dolci e sinuose, mentre la parte inferiore e coperta dall’invadente presenza del mantello rosso del santo che legge il libro. (figura 4)

Confronto della Pala di San Zaccaria di Bellini e la Madonna in trono con il bambino e quattro angeli di Masaccio.

Affinità:

 Le due opere presentano lo stesso soggetto, una Maestà, dunque la vergine sedente in trono con in braccio il bambino. Entrambe appartengono al periodo artistico rinascimentale sebbene l’opera del pittore fiorentino sia una delle prime rappresentazioni di questa espressione artistica per questo risulta, dal punto di vista artistico,  più matura l’opera del pittore veneto. In entrambe le opere vi è la presenza di angeli musicanti anche se nell’opera di Masaccio ve ne sono due, mentre nell’opera del Bellini si presenta un unico angelo musicante, la collocazione è però analoga: la base del trono della vergine. Notiamo in entrambe le opere la ripresa di elementi di stile classico, nell’opera di Masaccio questi sono concentrati nel trono su cui siede la Vergine, vediamo che la predella ricorda i motivi strigilati dei sarcofagi romani, mentre nella parte inferiore sono raffigurati due rosoni. Nei fianchi compaiono colonnine composite inalveolate e sopra di esse sono collocate coppie di colonnine composite. Infine a decorare la spalliera sono colonnine ioniche. Nell’opera di Giovanni Bellini compaiono i rosoni, gli archi a tutto sesto, la volta a crociera e i capitelli compositi, tutti elementi appartenenti alla tradizione architettonica greco romana
In entrambe le opere vi è l’applicazione delle regole della prospettiva scientifica, anche se nell’opera di Masaccio questa è ancora più rigida, è un’applicazione meccanica, che porta l’artista a scegliere di collocare la lineo di orizzonte in corrispondenza della linea di seduta del trono dove poggia la vergine, ma per il resto indice dell’utilizzo di una prospettiva scientifica sono le aureole che, prima circolari e piatte, presentano in questa rappresentazione una forma ellittica. Le aureole sono invece del tutto assenti nell’opera del Bellini, come risultato di un processo avvenuto nel corso del Quattrocento, le aureole sempre meno evidenti arriveranno con Leonardo ad assumere la forma di fili dorati per poi scomparire definitivamente come notabile in questo caso.

Differenze:

Molto numerose sono le differenze riscontrabili nelle due opere, a partire dalla data di realizzazione, datata 1426 è l’opera di Masaccio che dunque è tra le prime rappresentazioni rinascimentali, realizzata invece nel 1505 la maestà del Bellini, quando ormai l’arte rinascimentale, dapprima limitata al territorio toscano si sta diffondendo in Italia raggiungendo anche il territorio veneto. La tecnica di realizzazione adottata dal poeta toscano è quella della tempera e oro su tavola, mentre l’artista veneto realizza l’opera con la tecnica dell’olio su tavola. Le ubicazioni contemporanee delle due opere sono un altro dato differente, la Maestà del Bellini è oggi collocata presso la chiesa di san Zaccaria, a Venezia. La Maestà dell’artista toscano è invece conservata a Londra, presso la National Gallery.  Osservando le due opere una prima differenza sostanziale è visibile dall’osservazione dello sfondo: nella pala del Bellini questo ha un ruolo primario nella rappresentazione determinando una contestualizzazione scenica e conferendo realismo all’intera rappresentazione, nell’opera di Masaccio invece lo sfondo risulta essere ancora dorato precludendo la rappresentazione da una contestualizzazione scenica. Differenti sono anche i personaggi protagonisti delle due opere, all’interno della Maestà conservata a Londra si nota la presenza di quattro personaggi, quattro angeli di cui due musicanti seduti sulla predella del trono e due seminascosti dal trono stanti in piedi, in secondo piano, con un curioso sguardo rivolto ai due protagonisti principali. Nell’opera dell’artista veneto invece i personaggi sono in tutto cinque, di cui un solo angelo. Gli altri quattro sono santi disposti a semicerchio intorno al trono su cui poggia la vergine. Molto diverse anche le raffigurazioni dei due troni, quello di Masaccio ha fattezze monumentali, giganteggia nella rappresentazione, quasi fosse un’architettura, confrontato con esso la Vergine sembra essere eccessivamente grande e viene percepita un po di sproporzione. Il trono del Bellini invece, molto più snello accoglie la figura della vergine che non lo appesantisce ulteriormente, come sembra fare la Vergine dell’opera dell’artista toscano, ma l’esile figura poggia armoniosamente sul seggio alleggerendo l’intera rappresentazione. L’effetto contrario viene percepito nell’opera di Masaccio. Questo deriva anche dalla formazione degli artisti in due scuole molto diverse, la scuola fiorentina ha sempre prediletto, a partire da  Cimabue, una linea molto più marcata e una pesantezza rappresentativa conferita dalle vesti ricche di panneggi che davano con solidità volumetria ai personaggi. Questo senso di staticità compare anche in quest’opera di Masaccio, mentre è assolutamente assente nell’opera di Bellini. Interessante è osservare come, nonostante il panneggio della veste della Vergine nella pala di san Zaccaria sia molto marcato e particolareggiato, questo non conferisce pesantezza alla figura femminile. La scuola veneta adotta scelte molto diverse da quelle predilette dalla scuola fiorentina, la linea non prevale sul colore e non presenta un tratto pesante e marcato, una linea sinuosa, leggera si lascia penetrare da colori intensi con grande armonia. Anche i personaggi sono esili e dinamici, si noti per esempio che il bambino, nell’opera del Bellini viene raffigurato in piedi, a differenza di quello che compare nella Maestà dei primi del Quattrocento, pesantemente seduto in grembo alla vergine.
inoltre il Bellini riesce a conferire molto un senso di profondità sia con la pavimentazione a scacchiera sia con la disposizione a semicerchio dei personaggi, la percezione di profondità invece non viene espressa nell’opera del 1426 dove la strutturazione ricorda molto le maestà gotiche. In entrambe le opere vi è la presenza di alcuni rimandi simbolici anche se molto diversi tra loro, nell’opera di Masaccio notiamo che il bambino sta mangiando un acino d’uva offertogli dalla madre, esplicita allusione al vino, simbolo eucaristico del sangue di cristo. Nell’opera del Bellini i rimandi simbolici non vanno cercati nella gestualità dei personaggi bensì nell’architettura (che ha un ruolo molto attivo) infatti l’uovo di struzzo che pende dal catino absidale è un’allusione simbolica alla fecondità e alla rinascita.