L’opera, una tempera su tavola di Andrea Mantegna, viene realizzata dall’artista nel 1457-1459, appartiene all’arte rinascimentale.
Oggi è conservata presso il Museo Louvre a Parigi, nonostante appartenesse in origine alla predella della pala di San Zeno, insieme all’Orazione e alla Resurrezione.
Nell’opera giganteggia centralmente la croce di Cristo, affiancata da quelle dei due ladroni, le espressioni ricche di dolore, visibili sui volti dei ladroni sottolineano, per contrasto, la calma solenne che regna sul volto di Cristo.
Nella raffigurazione di questo episodio sacro vediamo come l’artista riesca a introdurre moltissimi personaggi.
Sulla sinistra vengono raffigurate le pie donne, che più di tutte esprimono il dolore per la visione che gli si presenta dinanzi, i loro volti appaiono contratti dal dolore, un dolore che le lacera e che risulta essere capace di coinvolgere emotivamente lo spettatore, nonostante i loro sguardi non siano rivolti a questo ultimo.
È tra di loro che compare la figura della vergine, riconoscibile per il mantello dal colore blu intenso, tipico della sua iconografia, si accascia in avanti, senza forze e viene saldamente sorretta da dietro dalla donna di rosa vestita. Il volto della vergine cade verso il basso e si contraddistingue da quello delle altre figure femminili per il colorito, verdastro, pallido, che riprende quello utilizzato per il Cristo.
Con le mani giunte in preghiera, raffigurato stante, di profilo all’estrema sinistra dell’opera è San Giovanni anch’egli addolorato dinanzi alla croce di Cristo.
Se nello spazio che distanzia la croce di cristo da quella del ladrone sulla sinistra sono visibili personaggi straziati dal dolore è invece l’indifferenza il tema che domina nei personaggi raffigurati tra la croce di cristo e quella del ladrone sulla destra.
Qui vengono rappresentati i soldati che, seduti, si stanno giocando a dadi la veste di cristo su un tabellone colorato di forma circolare.
L’unico personaggio che sembra interessarsi al corpo crocifisso del ladrone è quello raffigurato di spalle, a cavallo, che inclina il capo all’indietro per osservare il defunto.
Ai personaggi più classici, caratteristici di questo episodio sacro, il Mantegna aggiunge altri personaggi che non occupano un ruolo primario, ma che conferiscono moltissimo realismo alla rappresentazione, come i due personaggi in primo piano, tagliati, che sembrano essere colti di sorpresa mentre stanno conversando.
Altri personaggi vengono rappresentati sullo sfondo, a contestualizzare la scena, mentre si incamminano verso quella cittadina rialzata, ideale raffigurazione di Gerusalemme.
La città santa rappresentativa delle tre religioni monoteiste, viene raffigurata dall’artista con l’utilizzo di schizzi di viaggi in Grecia e Asia Minore di Griaco d’Ancona.
Tipici dell’artista padovano sono diversi elementi in quest’opera, a partire dalla presenza di rimandi simbolici, si notino infatti i teschi raggruppati alla base della roccia grigia di sinistra e quello che, singolarmente, si trova ai piedi della croce di Cristo, rimando simbolico alla morte.
Il Mantegna ancora una volta riserva un ruolo primario alla natura sullo sfondo.
In questo caso, coerentemente al suo stile si noti la presenza di una natura rocciosa, tracciata con linee marcate, decise, molto simile a quella dell’orazione nell’orto del 1455.
Anche il cielo lo si riconosce come proprio di questo artista veneto, per la presenza di quelle nuvole dalla caratteristica forma allungata.
Inoltre l’artista si dimostra capace di unire armoniosamente il suo amore per i paesaggi naturalistici con quello per l’arte antiquaria, infatti dedica anche molta cura per la raffigurazione della cittadina sull’altura di sfondo, con una minuziosa rappresentazione delle cinte murarie che la circondano e dei singoli edifici che la compongono.
Notiamo inoltre che lungo tutto il percorso che conduce alla cittadina il Mantegna si preoccupa di raffigurare un corteo di persone che, ancora una volta conferiscono molto realismo alla rappresentazione.
L’appartenenza dell’opera all’arte rinascimentale è evidente per la presenza di una prospettiva scientifica notabile se si osserva la rappresentazione della strada che conduce sino alle porte della città.
La presenza della prospettiva scientifica implica a sua volta la presenza di una luce razionale, notabili infatti sono anche le ombre proprie e portate che si creano per la presenza di una luce proveniente da destra (si osservino per esempio i piedi di San Giovanni vicino ai quali l’artista raffigura l’ombra del personaggio).
In questo caso specifico l’artista utilizza anche una prospettiva aerea, con uno crescente schiarimento della tonalità del cielo man mano che si avvicina alla linea di orizzonte.
Altro elemento tipicamente rinascimentale è la ricerca di realismo e la fedele rappresentazione di ciascun personaggio, in questo caso i maestosi personaggi che raffigura il Mantegna sono presentati in pose del tutto naturali, si noti per esempio la posizione rilassata del soldato che, giocando a dadi, presenta le gambe divaricate.
Relativamente allo studio compositivo l’artista divide idealmente l’opera in due parti, una superiore e una inferiore, la linea che divide in due la rappresentazione è la retta che passa per i piedi di cristo,(figura 1) al di sotto della quale l’artista introduce i personaggi canonici, le pie donne, san Giovanni e i soldati e al di sopra della quale i protagonisti diventano, in un secondo livello di lettura dell’opera, il Cristo e i due ladroni, che primeggiano sullo sfondo della cittadina e del cielo azzurro intenso.
CONFRONTO: CROCIFISSIONE DI ANDREA MANTEGNA- CROCIFISSIONE DI DUCCIO
- Crocifissione Mantegna
- Crocifissione Duccio
ANALOGIE- Le due opere d’arte raffigurano la stessa scena, la Crocifissione di Cristo. In entrambi i casi la tecnica di realizzazione è quella della tempera su tavola. I personaggi raffigurati sono fondamentalmente gli stessi, il Cristo e i due ladroni in croce, le pie donne, San Giovanni e i soldati, sebbene nell’opera di Mantegna possiamo notare la presenza di personaggi in secondo piano finalizzati a conferire realismo all’opera. Nell’opera di Duccio invece compaiono un altro gruppo di personaggi, completamente assente nell’opera del Mantegna, gli angeli, collocati nella parte superiore della rappresentazione. Ad accomunare le due crocifissioni è anche il fatto che entrambe fanno parte di un importante polittico realizzato dai rispettivi artisti delle due opere.
DIFFERENZE-numerose risultano essere le differenze nelle due opere, a partire dall’artista: Duccio, rinomato artista senese, realizza la crocifissione di Cristo facente parte del famoso polittico di Siena, nello specifico è una formella collocata nel registro superiore della pala centrale. Mantegna, celebre artista veneto, è invece colui che realizza la Crocifissione originariamente annessa alla Pala di San Zeno, nello scomparto centrale della predella. Diverse le ubicazioni contemporanee delle due opere, l’opera di Duccio oggi è conservata presso il Museo dell’Opera del Duomo di Siena, la Crocifissione del Mantegna invece è conservata nel museo Louvre, a Parigi.
Fondamentale è la diversa data di realizzazione delle due opere: l’opera del pittore senese risale al 1308/1311 ed è un’espressione artistica di scuola senese appartenente all’arte gotica trecentesca, l’opera del Mantegna invece, realizzata nel 1457/1459, appartiene all’arte rinascimentale. Differenze sostanziali tra queste opere sono determinate dal differente periodo di realizzazione e dunque alla differente corrente artistica di appartenenza. Prima evidente differenza è notabile dall’osservazione dello sfondo. L’opera di Duccio non viene propriamente contestualizzata nello spazio coerentemente con gli usi dell’arte gotica trecentesca lo sfondo risulta dorato, l’unico elemento di contestualizzazione è il Monte Calvario che tuttavia svolge una funzione simbolica e non di contestualizzazione scenica. Al contrario ci sembra di affacciarci in uno scenario reale se si guarda l’opera rinascimentale, definito con cura, in ogni particolare è lo sfondo nel quale convivono elementi naturalistici e urbanistici con grande armonia, non finalizzati a un rimando simbolico ma a una contestualizzazione scenica dell’episodio. Da notare anche la sensibile differenza nella disposizione dei personaggi nello spazio: nella crocifissione trecentesca si noti la rigida divisione della scena in due parti, in ciascuna delle quali è collocata una folla. I personaggi sono ammucchiati nello spazio che viene riservato loro, regna ancora una bidimensionalità che fa sì che risultino come sospesi nel vuoto. Nell’opera rinascimentale invece non vi sono rigidi schemi ma tutto è raffigurato in nome di un armonioso realismo, la naturalezza sta alla base di questa rappresentazione dove ciascun personaggio si muove autonomamente e assume un ruolo unico, al contrario nell’opera di Duccio il singolo non ha un’importanza primaria la quale viene invece rivestita dal gruppo di personaggi. La tipizzazione dei personaggi è ancora un carattere presente nelle rappresentazioni trecentesche, banalmente si noti per esempio la posizione di Cristo e dei due ladroni nell’opera di Duccio: è quasi analoga, le braccia aperte, il capo piegato in avanti e le gambe leggermente piegate. Il Mantegna differenza questi personaggi e lo fa differenziando anche le posizioni che i loro corpi assumono, l’unico a presentare le braccia divaricate è la figura del Cristo che presenta le gambe distese, i due ladroni hanno entrambi le braccia piegate ma solo uno dei due piega visibilmente la gamba (quello sulla destra) Inoltre se l’opera trecentesca è raffigurata in maniera bidimensionale questo non avviene nella pala rinascimentale: la bidimensionalità è un carattere che rimane protagonista dell’arte gotica. L’arte Rinascimentale, a seguito di numerosi studi, gode della scoperta della prospettiva scientifica che a livello artistico determina grandi differenze rappresentative, si basti notare la presenza di una luce razionale che implica la creazione di ombre proprie e portate, totalmente assente nell’opera di Duccio, dove la luce è ancora diffusa, irrazionale. Si notino anche la presenza di più piani nell’opera del Mantegna, inesistenti in quella di Duccio. La differenza più eclatante però rimane l’espressività: i personaggi dell’opera trecentesca ne sono privi! È invece con un solo sguardo che lo spettatore viene coinvolto emotivamente dai personaggi dell’opera dell’artista veneto, che esprimono a pieno il dolore, lo strazio e la sofferenza provata. Basti confrontare le espressioni delle pie donne nelle due opere, quasi invisibili nell’opera di Duccio, dove si limitano a osservare la Croce o a guardarsi tra di loro sono carichi di pathos in quella del Mantegna.