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Dati tecnici:

L’opera, realizzata nel 1583-1584, è un olio su tela del Veronese.

Oggi ubicata presso la Pinacoteca di Brera a Milano si tratta di un’espressione artistica del manierismo veneto.

A commissionare l’opera al giovane artista veneto fu la chiesa veneziana di Santa Maria Maggiore.

Descrizione dell’opera:

L’episodio evangelico proposto nell’opera è quello dell’orazione nell’orto degli ulivi. Secondo quanto narra l’episodio Gesù, nell’orto degli Ulivi, accompagnato dai tre apostoli dormienti viene informato del suo imminente destino da alcuni angeli, che gli presentano gli strumenti della passione. Successivamente giungerà il traditore, Giuda, che con alcuni soldati  farà arrestare il Cristo.

Questo episodio già precedentemente proposto nella tradizione pittorica veneta durante il periodo rinascimentale viene riproposta in chiave manierista dal Veronese.

È in una dimensione cupa e buia che ha luogo l’evento: sulla porzione di sinistra in primo piano l’artista colloca la figura di Gesù, sorretta dall’angelo alato che giganteggia alle sue spalle.

Cristo, vestito di una veste di colorazione rossa, è ritratto di profilo, con il capo inclinato mollemente a sinistra. Dietro di lui l’angelo gli impedisce di cadere in terra, protendendo delicatamente la gamba sinistra, irradiata di luce e la corrispettiva mano.

È un abbraccio divino, portavoce di speranza e di salvezza quello che l’angelo riserva al Cristo affranto, infondendogli la sicurezza di una costante presenza di Dio, della Grazia divina che non lo abbandona, ma che anzi in momenti di sofferenza risplende riportando la luce.

Ed ecco che il capo dell’angelo contrastando con quello di Cristo è rivolto verso l’alto, verso la luce. Luce divina che anticipa la luce barocca e che si fa allegoricamente portavoce della Grazia Divina.

Più in profondità, assolutamente estraniati dalla drammaticità della scena avente luogo in primo piano, si individuano i tre apostoli dormienti, san Giacomo, san Giovanni e san Pietro.

La scena è ambientata in un paesaggio di carattere naturalistico, la fitta vegetazione funge da sfondo e i colori cupi concorrono a trasmettere la sensazione di drammaticità. Gli alberi di ulivo sottolineano le figure dei tre apostoli mentre le reliquie antiche con una colonna scanalata in marmo bianco di ordine composito fungono da divisore tra i due personaggi in primo piano e i tre apostoli.

Caratteristiche dell’artista:

La mano dell’artista si riconosce in quest’opera per alcuni caratteri tipici della sua filosofia pittorica. Innanzitutto si riconosce immediatamente l’appartenenza della realizzazione pittorica alla scuola veneta, si nota infatti la riproposizione del sottoinsù, tipicamente veneto, nella figura in primo piano di cristo e anche la cura nella raffigurazione delle reliquie antiche collocate alle spalle dei due protagonisti, elemento tipico della tradizione veneta già comparso a livello pittorico nelle opere del Bellini e del Mantegna due capisaldi della pittura veneta del primo rinascimento (si considerino, per esempio, il San Sebastiano o il san Giacomo al martirio di Mantegna. (figura 1-2)).

Figura 1:’San Sebastiano’, Andrea Mantegna, 1481. Museo Louvre, Parigi.

Anche in questo caso sullo sfondo è possibile notare i resti di una costruzione visibilmente classica della quale si distingue, integra, una colonna scanalata di ordine composito affiancata da un pilastro sulla cui trabeazione si imposta un arco a tutto sesto spezzato.

Il linguaggio pittorico del Veronese vede un distacco dalla tradizione del tonalismo veneto: infatti egli sviluppa un approfondito studio sulla luce comprendendo come dall’accostamento di colori complementari si riesca a ottenere  un’intensa luminosità nell’intera raffigurazione.

Questo stilema dell’arte del Veronese si può immediatamente notare in primo piano nella figura dell’angelo che l’artista raffigura con la giustapposizione del giallo e del violetto nella veste, stessa giustapposizione viene riproposta nella figura di San Pietro dormiente, individuabile centralmente in secondo piano. Sulla sinistra invece san Giacomo veste di verde e rosso.

Figura 2:’Andata di San Giacomo al martirio’, Andrea Mantegna, 1448-1457, Cappella Ovetari della chiesa degli Eremitani a Padova

Che l’artista dia primaria importanza alla componente luministica nelle sue opere risulta evidente anche per la scelta di introdurre un ampio fascio di luce divina in alto a sinistra che irradia le figure protagoniste di Cristo e dell’angelo alludendo alla Grazia divina e aumentando la brillantezza dei colori e la luminosità della scena raffigurata in primo piano.

In secondo piano in quest’ opera, seppur atipico dello stile dell’artista, il Veronese sceglie di presentare il cielo con forti note tonali, le nuvole infatti di colorazione rosa- aranciata ricordano moltissimo quelle del Bellini, artista che fondò la pittura tonale veneta.

Probabilmente la scelta dell’artista fu dettata in questo caso dalla necessità di rappresentare gli albori del primo mattino, frammento temporale in cui avviene l’episodio. La mano dell’artista si riconosce in quest’opera per un altro carattere che permea tutte le sue rappresentazioni artistiche: la teatralità.

Come già visto in opere anteriori a questa (per esempio le nozze di Canai o il festino in casa levi) l’artista ama aggiungere una forte componente teatrale alle sue opere, solitamente resa dalla scelta di rappresentare scene molto affollate, dalle architetture e da balaustre che creano un gioco di piani, come a rappresentare i personaggi in primo piano nell’ipotetico palcoscenico e quelli aldilà della balaustra come dietro le quinte.

In questo caso, tuttavia il Veronese non ha avuto modo di conferire la componente teatrale attraverso elementi simili, essendo questa una delle pochissime raffigurazioni di carattere sacro da egli realizzate, perciò la teatralità è conferita in particolare dal fascio di luce divino in primo piano e dalla tensione emotiva che i due personaggi in primo piano trasmettono.

Come il Tintoretto (artista a lui coevo e altro maestro veneto dell’arte manierista) anche il Veronese nello sviluppo della sua arte anticipa i caratteri barocchi sia nella teatralità sia nella scelta di introdurre una luce di natura divina.

Caratteristiche del periodo:

Della corrente manierista non è possibile presentare effettivamente dei caratteri universali e comuni a tutte le realizzazioni artistiche del periodo, poiché vigeva la cosiddetta ‘licenza della regola’ in funzione della quale ogni artista sviluppava in maniera personalissima la sua arte per adempiere al fine comune dell’arte manierista: il raggiungimento della grazia e della perfezione stilistica, nel farlo gli artisti del manierismo esasperarono alcuni caratteri rinascimentali, tra questi si riconoscono in quest’opera il pathos esasperato, identificabile in primo piano nello strazio di Cristo e nell’azione salvifica dell’angelo; la prospettiva scientifica, che in questo caso vede la scelta di proporre il sotto in su, coniato dal Mantegna e tipicamente veneto, per cui la figura di cristo e dell’angelo giganteggiano agli occhi dello spettatore; la riproposizione di reliquie classiche che, a seguito dei ritrovamenti architettonici dei primi anni del ‘500, contraddistinsero le realizzazioni del pieno rinascimento italiano; la luce razionale, infatti nonostante vi sia il fascio di luce divina in alto a sinistra questo rispetta le luci e le ombre di una luce razionale; il panneggio bagnato, riconoscibile nella realizzazione delle vesti e tipicamente rinascimentale.

L’inquietudine e le insicurezze determinate dal periodo storico vengono qui espresse dalla cupezza dei colori e dall’atmosfera drammatica della scena.

Studio compositivo:

Rispetto allo studio compositivo è possibile identificare una diagonale principale costituita dall’andamento del corpo di Cristo e da quello dell’angelo ulteriormente marcata dal fascio di luce divina. Come tipico dell’arte rinascimentale inoltre ogni gruppo di personaggi è sottolineato da un elemento: il fascio di luce divina sottolinea Gesù e l’angelo, mentre gli alberi di ulivo sottolineano gli apostoli.

A dividere questi due gruppi di personaggi che popolano la scena è poi l’architettura classica posta centralmente che costituisce l’asse della realizzazione.

CONFRONTO CON L’ORAZIONE NELL’ORTO DI BELLINI

AFFINITA’

Entrambe le opere sono realizzate da due artisti veneti, la prima dal Bellini, la seconda dal Veronese. Entrambe vedono la rappresentazione a livello pittorico dello stesso episodio evangelico: l’orazione nell’orto degli Ulivi.

Essendo analogo l’episodio rappresentato analoghi risultano essere anche i personaggi in scena: il Cristo, i tre apostoli dormienti (san Giacomo, san Giovanni e san Pietro) e l’angelo che recando al Cristo i doni della Passione gli svela il suo tristo destino.

La venuta del traditore narrata dal passo evangelico viene raffigurata dal Bellini che, in profondità presenta la figura di Giuda che indica ai soldati al suo seguito la figura di Cristo.

Essendo entrambi gli artisti di origine veneta vi sono delle visibili caratteristiche in comune dettate dalla scuola di pensiero regionale, tra queste si riconosce l’importanza che viene conferita al paesaggio che, in entrambi i casi, è di carattere naturalistico.

Inoltre si riconosce la presenza del tonalismo, che viene introdotto proprio dal Bellini nel primo rinascimento veneto. Nel Bellini il tonale appare un po’ più evidente ed è contraddistinto da una maggiore intensità nei colori aranciati e rosei.

Entrambe le opere, sempre perché figlie della tradizione pittorica veneta vedono una prospettiva scientifica a sotto in su, con un punto di fuga molto basso che determina una fortissima monumentalità dei corpi aumentando il patetismo da essi conferito all’opera.

Inoltre è possibile notare come in entrambi i casi gli artisti rispettino fedelmente le regole della prospettiva scientifica, la quale però viene sottolineata da due elementi differenti: nel caso del Bellini sono le scalette sullo sfondo a sottolineare le linee prospettiche, nel caso del Veronese invece sono le reliquie antiche collocate come divisorio tra i personaggi in primo e quelli in secondo piano.

In entrambe le opere viene introdotta una luce razionale, che nel caso del Veronese ha fonte divina, ma segue le regole razionali di ombre proprie e portate. In entrambi i casi le opere sono molto realistiche come caratteristico dell’arte dei periodi in cui vengono realizzate.

DIFFERENZE

Le due realizzazioni sono prodotto della maestria di due diversi artisti: il Bellini e il Veronese.

Le datazioni sono sensibilmente differenti, quella del Bellini è data 1465, mentre quella del Veronese è del 1584. Di conseguenza è possibile affermare che le due opere rientrano in filoni artistici differenti, quella del Bellini fa parte del primo rinascimento italiano, mentre quella del Veronese è espressione artistica del manierismo.

Le due opere vengono inoltre realizzate con due tecniche diverse: ancora in voga la tecnica della tempera su tavola agli albori del rinascimento viene utilizzata anche dal Bellini in quest’opera, mentre il Veronese la realizza con la tecnica dell’olio su tela ampiamente utilizzata in veneto a partire dal 1500. Le ubicazioni contemporanee sono differenti: l’opera del Veronese è oggi conservata a Brera, mentre l’opera belliniana si trova oggi a Londra, presso la National Gallery.

La tavola belliniana ha sviluppo orizzontale, a differenza di quella del Veronese che si sviluppa verticalmente. I due artisti inoltre gestiscono lo spazio in maniera molto diversa disponendo i personaggi in maniera opposta.

Se nel caso del Bellini gli apostoli sono in primo piano, mentre la figura di Cristo è in secondo piano avviene il contrario nell’opera del Veronese dove è la figura del Cristo accompagnata dall’angelo a risiedere in primo piano e i tre apostoli dormienti sono collocati in secondo piano.

Visibilmente differente nelle due opere appare essere la resa del paesaggio: il paesaggio belliniano si configura come protagonista assoluto dell’opera, la linea utilizzata per il paesaggio è dolcissima, come tipico della natura armoniosa e dolce del Bellini, nel caso dell’opera del Veronese il paesaggio non ha una valenza così totalizzante e importante, infatti non si direbbe essere il protagonista dell’opera che marcatamente manifesta il protagonismo assoluto della figura di Gesù e dell’angelo in concomitanza con i caratteri di teatralità e spettacolarità barocchi.

La stessa volontà di rendere la natura unica protagonista fa sì che il Bellini scelga di relegare a una minima parte di sfondo la presenza architettonica: la cittadina bianca che si staglia sullo sfondo è appena accennata e non viene definita nel particolare, al contrario nella sua tela il Veronese dà primaria importanza all’architettura dipinta, come caratteristico del suo stile, spessissimo infatti l’artista ha proposto a livello pittorico architetture a trompe oeil raffiguranti progetti palladiani e, anche in questo caso, la definizione delle reliquie antiche è molto precisa e curata.

Molto diversi sono i colori usati dagli artisti nelle rispettive opere. Il Bellini, fondatore della pittura tonale veneta manifesta con forza e intensità questo carattere a livello pittorico introducendo, nello sfondo, toni molto caldi.

Distaccato da questo carattere è il veronese, che ai colori caldi del tonalismo preferisce invece colori brillanti e luminosi, infatti il tonale è appena accennato solo nel cielo in corrispondenza delle nuvole per rendere gli albori del primo sorgere del sole.

Molto diversa appare anche l’atmosfera, l’opera di Bellini è più armoniosa e tranquilla con un atmosfera serena, che contrasta molto con quella che è l’atmosfera cupa e tenebrosa entro cui è ambientata l’opera del Veronese che sicuramente risente molto del periodo storico carico di incertezze di carattere religioso.

Molto diverso appare essere il modo in cui viene raffigurato l’angelo, molto più umano e simbolico è quello presentato dall’artista manierista che grazie a questa figura profondamente umana propone uno squarcio di teatralità entro la sua opera.

È un angelo che sorregge fisicamente l’angosciata figura del Cristo, che come l’atmosfera cupa e tenebrosa, rimarca quell’inquietudine già presentata a livello artistico da altri artisti manieristi, come Pontormo e Rosso Fiorentino, tipica del periodo storico connotato da profonde incertezze religiose.

Teatrale, coinvolgente e ricca di pathos è la figura del Cristo accasciato del Veronese, mentre molto più contenuta e impostata è quella proposta dal Bellini dove egli viene tratto di spalle, inginocchiato, con le mani giunte in preghiera su di un’altura. Rivolto a un angelo che nell’opera di Bellini appare definito come in maniera evanescente, di colorazione bianca, in corrispondenza del cielo, mentre rende manifesti al cristo gli strumenti della Passione.

Nel complesso l’opera del Bellini acquisisce fattezze dolci e armoniose amplificate da una linea estremamente ondulata e ricurva che si differenziano molto dalla linea concisa e definita, più spezzata e aspra del Veronese e così nell’opera di Bellini non viene così profondamente percepita la drammaticità della situazione che invece rimbomba nuda e cruda nella raffigurazione manierista del Veronese.