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Dati tecnici:

I Bari del Caravaggio sono una celebre opera che l’artista, nel 1594, realizza con la tecnica dell’olio su tela su committenza del cardinale Francesco Maria del Monte, il cui stemma è dipinto sul retro della tela.

L’immediato successo che ebbe l’opera, portò numerosissimi artisti a realizzarne delle copie, l’originale è oggi conservata nel Kimbell Art Museum di Fort Worth.

L’opera rientra nella corrente artistica Barocca e, in particolare, essendo una delle prime realizzazioni artistiche di questo periodo è molto significativa poiché inizia a sancire un taglio netto con lo stile manierista.

Descrizione dell’opera:

Nel quadro il Caravaggio presenta, a livello pittorico, una truffa. A popolare la scena infatti risultano essere tre personaggi, ritratti in piedi intorno a una tovaglia damascata.

Due di questi sono intenti a giocare a carte, si tratta del giovane ingenuo all’estrema sinistra e del suo coetaneo sulla destra. Quest’ultimo, con l’aiuto di un uomo più anziano, raffigurato centralmente, truffa il suo avversario. La tela, di sviluppo orizzontale, è interamente occupata dalle figure di questi tre personaggi.

Il giovane di sinistra, dalle gote molto arrosate presenta un’espressione riflessiva, mentre sta scegliendo la carta da giocare, ma estremamente serena e tranquilla.

Dietro di lui giganteggia l’uomo più adulto che, con uno slancio del corpo, si protende verso l’ingannato nell’atto di guardargli le carte.

Con lo sguardo ancora rivolto alle carte del giovane egli fa un segno al complice per esplicitargli le carte possedute dall’avversario.

Infatti la mano destra del personaggio, ironicamente vestita da un guanto bucato, indica il numero tre al complice. È sulla porzione di destra che l’artista raffigura il secondo baro, come gli altri due personaggi è di tre quarti, in questo caso di spalle.

Dal punto di vista fisico egli è senz’altro il personaggio più teso. Il suo braccio è proteso sulla tavola, con la mano sinistra che cinge il mazzo di carte, mentre il braccio destro è prudentemente portato dietro la schiena così che la mano possa prendere una carta, tra quelle nascoste nella cinta della veste, scelta probabilmente in base ai suggerimenti del complice.

I critici studiarono attentamente le carte raffigurate dall’artista e, attraverso il confronto con alcuni storici, le identificarono con delle carte liguri dal seme francese. Secondo gli studiosi il gioco sarebbe quello dello zarro, gioco di origine persiana, che nel 1531 venne bandito da Francesco sforza poiché ritenuto socialmente pericoloso.

Le interpretazioni della scena sono state molteplici da parte della critica, alcuni identificano nel quadro una delle prime rappresentazioni picaresche dell’artista, altri addirittura vi rivedono una scena di genere emulata dallo stile fiammingo, secondo alcuni si tratta invece di una riproposizione a livello pittorico dei Bari delle commedie artistiche del tardo ‘500.

Il critico Frommel invece, identifica nella tela la presentazione di un tema molto caro all’artista: quello della giovinezza. Secondo Frommel infatti l’ingannato incarnerebbe in senso lato la Giovinezza, caratterizzata dalla spensieratezza è dall’affabilità e, purtroppo, richiamo della controparte pericolosa che, con l’esperienza e l’inganno, la raggira. Fu invece un altro critico a proporre un interpretazione in chiave cristiana, il Marini, il quale lesse nella scena la presentazione della Parabola del figlio prodigo: il giovane che abbandona la famiglia per le avventure e, così, viene punito.

Caratteristiche dell’artista:

L’opera è frutto della mano del Caravaggio e, nonostante la sua giovane età durante il periodo di realizzazione del capolavoro, è possibile riconoscerne alcuni caratteri contraddistintivi. Atipica dell’arte caravaggesca, ma già vista nella sua produzione più giovanile (si prenda in considerazione per esempio la canestra di frutta, coeva all’opera qui analizzata) è la scelta da parte dell’artista di proporre come sfondo dell’opera uno sfondo a tinta piatta di colorazione gialla: durante la maturazione dell’artista a livello pittorico infatti le sue opere saranno contraddistinte da uno sfondo a tinta piatta nera, conseguente alla scelta tecnica dell’artista di realizzare le tele partendo da un’imprimitura nera.

Se la colorazione dello sfondo risulta atipica dell’arte del Caravaggio, carattere che invece impregnerà tutta la sua produzione artistica è la minuziosa cura del dettaglio, paragonabile a quello della scuola fiamminga, si noti in questo caso per esempio la definizione con cui raffigura la superficie delle carte da gioco, grazie alla quale gli storici hanno riconosciuto addirittura il gioco a cui l’artista si è ispirato, piuttosto che l’attenta raffigurazione delle vesti dei personaggi, il dettaglio del guanto bucato del baro ritratto centralmente, o anche la piuma leggermente rovinata di quello di sinistra come anche la definizione della damascatura della tovaglia che ricopre la tavola.

In linea con la filosofia pittorica caravaggesca è la decisione di non raffigurare architetture dipinte, ma al contrario di rendere la prospettiva scientifica mediante le posizioni dei personaggi, le proporzioni e, mediante la luce. È la luce l’elemento protagonista di tutte le opere dell’artista e, anche in questo caso specifico, acquisisce una notevole importanza.

Un fascio di luce proveniente da un’ipotetica finestra in alto a sinistra pervade l’intera scena, mettendo in luce i tre personaggi. In quest’opera la complessiva luminosità sembra rimandare alla tradizione pittorica veneta, questo non appare strano se si considera che, maestro del Caravaggio fu Simone Peterzano, a sua volta allievo di Tiziano, caposaldo della pittura veneta rinascimentale.

Così soprattutto nei primi anni della sua produzione pittorica, prima ancora di uno sviluppo assolutamente proprio e personale dell’arte dettato dalla sua maturazione, il Caravaggio ripropone in maniera straordinaria alcuni elementi della tradizione pittorica veneta.

Caratteristiche del periodo:

Relativamente al periodo artistico di appartenenza della tela invece si può notare come si inizia ad avere una prima vera e propria manifestazione del linguaggio artistico barocco.

Si riesce a comprendere il profondo realismo dettato dalla definizione di ogni particolare, ma soprattutto per la prima volta si percepisce la nota teatrale del dipinto.

Teatralità che viene emanata dalle posizioni e dalla fisionomia dei personaggi, profonda e immediata è la psicologia dei personaggi.

L’ingannato riflette a lungo sulle prossime mosse osservando concentratissimo le sue carte, ignaro di ciò che stanno macchinando i due imbroglioni.

D’altro canto questa attesa aumenta la frenesia e l’agitazione dei due bari che, come inconsapevolmente, si protendono fisicamente verso l’ingenuo avversario. Incredibile è la presentazione della fisionomia del baro raffigurato in posizione centrale, paragonabile in tutto e per tutto a quella di un attore di teatro: la faccia corrucciata, l’espressione tesa, assolutamente intento a leggere le carte mentre suggerisce con un gesto all’altro baro che cosa deve fare.

Lo stesso complice aumenta il senso di teatralità dell’intera scena, incapace di aspettare allunga un braccio sulla tavola da gioco mentre manifesta al pubblico l’inganno, come dietro le quinte, estraendo la carta da un mazzo che porta posteriormente dietro la schiena, incastrato nella cinta.

Altro elemento innovativo si identifica nella decisione di presentare tutti i tre personaggi a tre quarti.

Studio compositivo:

Quest’opera apparentemente semplice e lineare nasconde uno studio compositivo molto articolato. Innanzitutto si noti come i tre personaggi vadano a comporre una triangolazione, la quale manifesta come l’artista abbia voluto disporre i personaggi nello spazio di modo da incastrare l’ingannato in una morsa.

L’oppressione della vittima è amplificata nettamente dalla vicinanza fisica dei due bari, incapaci di attendere la scelta della carta.

L’elemento più significativo in questo senso rimane il braccio destro del baro in primo piano che, trasversale alla vista, sembra incastrare spazialmente, in maniera definitiva e netta la vittima, non lasciandole vie di scampo.

Un altro elemento molto importante dal punto di vista compositivo è la scelta, da parte del Caravaggio, di celare o meglio di semi nascondere lo sguardo dei due imbroglioni. Infatti per entrambi nasconde, grazie alcuni artifici, uno dei due occhi di modo da impedire la visualizzazione completa dello sguardo. Non si può dire lo stesso per la vittima, della quale entrambi gli occhi sono perfettamente visibili al fruitore dell’opera, manifestandone così l’onesta e la mancata necessità di nascondere qualcosa.

La certezza che questo particolare non sia una fatalità ma sia frutto dello studio e della riflessione dell’artista è dettata dal fatto che attraverso uno studio a raggi X si è manifestato un pentimento: nel disegno originale infatti il Merisi aveva dipinto il volto del personaggio più anziano con entrambi gli occhi, per poi coprire il destro, pentitosene, con una falda del cappello dell’ingenuo.

Dunque il fatto che per entrambi i bari un occhio sia nascosto non è una casualità, ma al contrario è una volontaria scelta dell’artista. Infatti anche il secondo baro, sulla destra essendo presentato di spalle e di tre quarti non rende visibile l’occhio destro.

Infine è possibile notare come l’artista riesca a presentare al fruitore una visione tale per cui possa essere consapevole di ciò che sta accadendo, oltre a far sì che si senta assolutamente coinvolto nella scena.

È curioso notare come il Caravaggio si mostri capace di rendere manifesto  il filo sottile che vige tra realtà e apparenza: la reale indole di truffatore del baro di destra è invisibile all’ingenuo perché viene esplicitata unicamente dalla parte posteriore del corpo del personaggio che è invisibile al giovane, ma che l’artista rende invece ben visibile al fruitole, invitandolo a una riflessione sull’ingannevolezza delle apparenze.

I due particolari che manifestano indiscutibilmente la natura di delinquente del personaggio sono il coltello e il mazzo di carte aggiuntivo, due elementi collocati nella porzione posteriore della cinta del baro e, per questo, invisibili agli occhi della vittima.

CONFRONTO TRA I BARI DEL CARAVAGGIO E LA CENA DI EMMAUS MILANESE DEL CARAVAGGIO

Affinità

Entrambe le opere vengono realizzate da Michelangelo Merisi, con la tecnica dell’olio su tela.

Le due realizzazioni rientrano nella corrente artistica barocca, della quale il Caravaggio è il massimo esponente a livello pittorico. I due capolavori hanno uno sviluppo orizzontale e presentano due episodi che si snodano intorno a una tavola che, per questo, acquisisce molta importanza nella raffigurazione.

Essendo entrambe realizzate dallo stesso artista le due opere manifestano dei caratteri comuni dettati dallo stile pittorico del Caravaggio: innanzitutto la cura quasi fiamminga del particolare, visibile in entrambe le opere nelle decorazioni della tovaglia che riveste la tavola e nella presentazione fisionomica dei personaggi.

Aderente alla filosofia pittorica caravaggesca è la scelta di curare dettagliatamente anche la gestualità dei personaggi, oltre che le espressioni facciali.

In questo carattere specifico sembra manifestarsi un eco dei cosiddetti ‘moti dell’animo’ leonardeschi, l’atteggiamento assunto dall’apostolo sulla destra nella cena di Emmaus fa risuonare il ricordo di quelle che era l’atteggiamento di San Bartolomeo nel cenacolo di Leonardo.

Come nella cena di Emmaus anche nei Bari il Caravaggio propone, come fece Leonardo durante il Rinascimento, una definizione psicologica attraverso gli atteggiamenti dei personaggi. Infatti i Bari assumono delle posizioni che rivelano l’inquietudine e l’ansia dai due intimamente provate.

Rispetto al linguaggio leonardesco però quello del Caravaggio, in linea con il periodo artistico di appartenenza, è impregnato di una fortissima teatralità.

Del resto dopo un periodo di incertezze religiose (espresso dall’arte manierista) la chiesa cattolica si fece promotrice dello stile barocco nel tentativo di riavvicinare i credenti alla fede e, per questo scopo, volle che gli spettatori fossero stupiti, impressionati ed emotivamente coinvolti dall’opera d’arte che, così ebbe come parola chiave la spettacolarità espressa tramite una marcata teatralità.

In entrambe le opere proposte questa appare piuttosto evidente: in particolare nell’atteggiamento e nell’espressione dei due bari nel caso dell’opera ‘I bari’ e nell’atteggiamento degli apostoli nell’opera ‘La cena di Emmaus’.

Altro carattere molto importante comune alle due opere è la scelta di collocare i personaggi in primo piano (il baro e i due apostoli) di spalle e di tre quarti così che vi sia un marcato coinvolgimento del fruitore che sembra assistere con gli occhi di uno dei personaggi all’episodio.

Tipica del Caravaggio è inoltre l’assenza di architetture dipinte e la resa della prospettiva attraverso la luce e attraverso la disposizione dei personaggi nello spazio.

In entrambi i casi la luce ha un ruolo protagonista, non si tratta più della luce di stampo razionale che aveva permeato l’intera arte rinascimentale, è una luce diversa, nuova, divina, irrazionale ‘Barocca’ nella sua interezza, anche se molto più sviluppata nel caso della Cena di Emmaus, ancora acerba e in fase di maturazione nei ‘Bari’.

In entrambe le opere si nota la presenza di una componente coloristica piuttosto calda, dettata dall’influenza della scuola veneta nell’arte caravaggesca, in virtù degli insegnamenti del maestro Simone Peterzano a sua volta allievo di Tiziano.

DIFFERENZE

Le due opere del Caravaggio presentano datazioni differenti, i Bari vengono realizzati dall’artista agli inizi della sua carriera, nel 1594 e per questo presentano ancora elementi, quali lo sfondo a tinta piatta giallo, caratteristici del suo primo periodo di realizzazione.

La cena sacra è datata 1600 ed è una delle prime opere a manifestare in maniera più significativa caratteri tipicamente caravaggeschi avviando a un percorso di maturazione dell’artista. Le due tele sono conservate in luoghi diversi, i Bari si trovano oggi nel Kimbell Art Museum di Fort Worth, mentre la Cena di Emmaus è ubicata presso la Pinacoteca di Brera, a Milano.

Se la cena di Emmaus è una rappresentazione di carattere sacro, i Bari sono invece una scena di genere che ritrae i personaggi in uno squarcio di quotidianità che suggella in questo caso anche un insegnamento morale.

Entro la tela raffigurante i bari i personaggi sono in totale tre, di cui due giocatori e il complice del baro, mentre nella scena sacra si contano in tutto cinque personaggi, il Cristo, i due apostoli, l’oste e l’aiutante.

La scena della cena sacra assume una dimensione molto più intima, viene ambientata in un’osteria come suggerito dalla presenza dell’oste e della sua aiutante, lo sfondo è scuro in virtù dell’utilizzo di un’imprimitura nera e la dimensione propone caratteri umili e poveri, come ben visibile dalla presentazione dell’oste e dell’aiutante che manifestano caratteri visibilmente popolari.

Al contrario di estrazione sociale visibilmente diversa sono i tre personaggi che il Caravaggio raffigura entro la tela di Fort Worth. Relativamente alle vesti in virtù del differente ceto sociali queste appaiono molto più pompose e raffinate nell’opera del 1594, mentre visibilmente povere e popolari in quella del 1600, più coerentemente con il gusto dell’artista.

Inoltre è possibile notare che le due tavole, entrambe protagoniste delle raffigurazioni manifestano caratteri differenti: la tavola che viene raffigurata nei Bari è completamente coperta da una tovaglia ampiamente decorata, mentre quella della cena sacra propone decorazioni solo in corrispondenza dell’estremità inferiore.

Inoltre se sono delle cibarie quelle presentate nella cena sacra sono invece elementi che rientrano nella tradizione del gioco quelli proposti per caratterizzare la tovaglia della tela conservata a Fort Worth.

BIBLIOGRAFIA/SITOGRAFIA:

  • Bovi A., Caravaggio, Edizioni d’arte il Fiorino, Firenze 1975 p. 188
  • Cinotti M., Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, Tutte le opere, in I pittori Bergamaschi dal XIII al XIX secolo, 4. Il seicento, Poligrafiche Bolis, Bergamo 1983. pp. 554 – 556
  • Christiansen K., Technical report on “The Cardsharps”, in “The Burlington Magazine”, CXXX, nº 1018, 1988, pp. 26 – 27.
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  • Frommel Ch. L., Caravaggio’s Fruhwerk und der Kardinal Francesco Maria del Monte, in Storia dell’arte, Firenze 1971, n°. 9 – 10 pp. 5 – 52
  • Mina Gregori, un altro autografo dei “Bari” di Caravaggio, in I “Bari” della collezione Mahon, catalogo della mostra, a cura di D. Benati A. Paolucci (Forlì, 5 aprile – 22 giugno 2008), Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo 2008 pp. 20– 48
  • www.arteworld.it/i-bari-michelangelo-merisi-caravaggio-analisi/